domenica 15 giugno 2014

Marco gioca sott'acqua

Marco che guarda la schiuma sopra una cresta
e vive dentro ad un’isola, ha un’isola nella testa
e non arriva mai niente dal continente perché anche se non si sente il mare è sempre in tempesta
e non c’è niente che si muova e che Marco non sappia
e non c’è niente che qui suoni e già Marco lo sa
e non c’è giorno che non passi e che Marco non abbia voglia di cucire suoni e luoghi dentro all’anima.
Marco era piccolo ricciolo, un bimbo vispo, quando guardava il mondo ed il mondo restava zitto
ma un bimbo cerca altre strade e contrade sin già dal principio,
ha già i pioppi ed i caprifogli che dorano aria e pulviscolo,
ha una reggia bruna che asciuga sulla battigia,
il sapore di confettura di prugna sopra alle dita,
ha i giorni nuovi, i venti caldi, i girasoli, i cento cieli e le spiagge con gli orli argento cuciti dalle onde brevi.
 E’ come se fosse arrivato solcando i mari poi prima si prese l’isola e dopo bruciò le navi
 e ora che l’alba è alta e impatta sulla spiaggia Marco segue parole che danzano sulle labbra e pensa:
Rit: -Quando e come, quando e dove, quanto e come
e quale suono han le parole che non volano fino a qua?
Quali sono, quante sono, quando sono e qui che suono han le parole che non giungono fino a...?
Quali orme, quali forme, quale fonte, qual è il volto del rumore che non giunge mai fino a qua?
Quale suono, dolce e forte, sempre o a volte, quale sorte hanno le note che non volano fino a… ?
Ma sono uguale davvero?- Marco chiedeva a sé stesso -….uhmmm-
lui che non sente ogni soffio, ogni tuono, ogni strofa, ogni suono, ogni nota , ogni “la la la"
-…e qui parole che van, van, van, salgono lentamente al cielo,
provo a afferrarle ma loro si librano in volo e mi lasciano solo qua….bye bye bye…-
La madre lo sa che è dura, lo sa che non serve piangere,
il padre che non accetta la vita del suo ragazzo
-Basta gesticolare, stai fermo, mi sembri un pazzo!-
lei che accarezza Marco mentre piange sulle gambe.
E gli altri bimbi che ridono sulla spiaggia,
si sa che la bestia nera tra i figli qua è l’ignoranza,
qualcuno pensa sia scemo, qualcuno che valga meno
ma tutto ritorna zero se si tuffano sott’acqua.
Là è un altro mondo, un altro modo, un altro suolo, un altro approccio, un mondo nuovo
dove tutto tace e va,
è un altro scopo, un altro vuoto, un altro luogo, un altro loco, un altro gioco,
-…ci arrivate voi fino a qua?-
Marco tra i moti ondosi si tuffa da scogli alti,
Marco che fa immersioni, Marco che ha già vent’anni,
adesso sta sotto tanto e quando va sotto tanto,
sotto Marco è felice, là sotto lui è come gli altri.
..e non c’è niente che si muova e non lasci una scia
e non c’è niente che si muova e non apra una via
e non c’è giorno che non passi e che Marco non sia
in cerca di una nota a pancia vuota, mangia malinconia.
Se Marco pensa a sé stesso è drastico e non si accetta
finché un giorno incontra gli occhi di perla di Benedetta,
questa ha uno sguardo dolce che scalda la brezza fresca
anche lei vive in un’isola ed ha un’isola nella testa.
La luna in cielo li guarda contar le stelle fra le onde che si frantumano in piogge di mille gemme,
-Vorresti sentire tutto ma noi in fondo sentiamo tutto
certo non con le orecchie ma con gli occhi e la pelle.
Perché ogni cosa che vive qua muove e oscilla ed è vita sia percepita dal corpo e dalla pupilla,
la stessa musica, musica: noi casse armoniche pervase nel fondo dalla sua vibra
e perché poi proprio noi ora caro è un enigma
e tutto ciò che non puoi, te lo ha tolto lo stigma…-
e fu come il risveglio da un sonno profondo,
riflesso del mondo di un sordo profondo.

Rit.

I marinai tornano tardi

- Quand’è che mi porti con te? Voglio vedere quello che vedi..-
gli aveva chiesto appena dopo le nozze,
nonostante il mal di mare che le torceva le reni
lo avrebbe seguito su tutte le rotte, tutte le volte
e quando lui tornava dai viaggi di notte,
avvicinando lo scafo e parlando al Libeccio,
lei lo avvistava dalla finestra interrogando la coltre
da cui si vedeva l’arrivo e l’attracco del peschereccio.
Nonostante i trent’anni che parevano un’era lei
lo attendeva ancora alla sera, svaniva l’intera candela,
non sai mai quando torna chi lavora nel mare
quando ti abitui all’assenza rieccolo lì che compare.
Lei rimaneva in attesa del suo sorriso frugale
come se l’acqua ed il sale lo trattenessero in zone lontane
e ogni volta chiedeva: -…e questa volta che fai?-
forse era una domanda scema, una cantilena che diceva:
Rit: -Resti o vai? Che fai? Che fai?
Resti? Quando taci a cosa pensi? O vai? Il nostro amore è di silenzi..
resti? Cara mia ma dove guardi? O vai? I marinai tornano tardi..
Decorava la tavola bianca con qualche fiore del posto,
al centro un vaso d’acqua e dentro un ramo di bosso,
apparecchiava sempre per due con il mare di sfondo,
con l’occhio allenato a cogliere tutti i movimenti nel porto;
poi finalmente eccolo apparire, la punta di un monte,
appoggiato coi gomiti alla balaustra del ponte,
la luna riversava sull’acqua piatta  una luce rifratta
che scendeva calma carica di polvere d’ovatta.
Sicché lui le raccontava ciò che aveva visto fra le onde:
la costa di rocce che si stende fra Genova e Tolone
o il manto bianco alle falde delle Azzorre,
le baracche di zinco imbiancate di calce nel meridione
-Le zagare esplodono ovunque ad aprile!
…ma tu non farti ingannare le parole sanno come tradire,
questo è un mestiere pessimo, qualche scorcio colpisce,
per il resto è solo fatica e una solitudine che annichilisce..-.
-Prendo in prestito i tuoi occhi allora…- disse lei scortese,
il velo del vento lambiva le vie del paese,
e si portava via le sue speranze di stare insieme
e poi le riportava le speranza di poterlo rivedere fra un mese.
Rit: Resti o vai? …che fai?..che fai?
Poco tempo e partiva, lo vedeva sparire all’aurora e
lei seduta sulla poltrona lo immaginava intagliare la bruma
verso porti e moli, a trenta nodi, nuovi Soli
oppure lottare contro muri furiosi di schiuma….
e sarebbe tornato, sarebbe tornato
e sarebbe riuscito a stupirla ancora
come l’ultima volta che tornato a tarda ora
le aveva portato in regalo un vestito da sposa di Cefalonia.
-Sempre via suo marito eh?  Beato lui che viaggia…-
dicevano le donne salutandole sulla terrazza
e lei che annuiva pulendo il parapetto di ferro
su cui il vento lasciava sempre un leggero vello di sabbia.
Si era abituato il paese di pochi focolari,
a vederla in attesa , qualche turista chiedeva ai locali:
-Cosa fa quella vecchia alla sera con gli occhi sul porto?-
rispondevano: -Aspetta che il  marito torni dal mare..dal mare…
sono dieci anni che è morto…-

Rit.

Isola verde

Lei che è la sola e l’unica e quando il sole la illumina
quello che per altri è un suono per me risuona come musica…..come musica…
Claudio suona l’armonica da un picco in cui domina
il mare che si sdraia sulla costa ionica,
dove litorale guarda le case e il sole ne riscalda le greche in maiolica..
ma ora non pensa più niente, no  no, vorrebbe dire: -Ciao, bye, bye, bye..-
poi poco dopo si pente e pensa: -Ma Claudio tu dove è che vai? dai…-
Rit: -Io non so quando ritornerò... isola verde…
forse da morto, io che ne so, non so più niente…
è vero, questo cielo non è un altro cielo
e tu terra celi in te un segreto che forse conosciamo solo io e te-.
Lui che era nato una notte, abbandonato nell’ombra
da un marinaio allo sbando e un’isolana sedotta,
cresciuto sull’isola scordata da Dio diceva:
- l’isola è mia madre e mio padre sono io!-.
Bimbo dagli occhi forti si si tuffava nei vortici
e sbucava fra cascate di euforbie e garofani e  
fra i manti folti dei campi incolti,
lui sovrano di un mondo che vibrava negli occhi suoi.
Poi si tuffava fra le ombre dei faraglioni
che forse sono le tombe dei pesci faraoni,
le furie dei cavalloni, le guglie fra i moti ondosi,
la spuma polverizzata sui balconi multicolori..
ma una voce diceva: -Vai via…sai quanto è grande il mondo?!
fuori di qua non so neanch’io chi sia e se mi pento ritorno o no?....
Non so quando ritornerò….quando soffia il maestrale…
….forse quando ritornerò riuscirò ad ammaestrare il mare-.
Claudio vuole andar via poi non vuole andar via,
Claudio cerca una via, lui cerca una via qualunque essa sia.
Rit.
Claudio s’è fatto grande, il bimbo s’è fatto uomo,
cresciuto col corpo al sole ha negli occhi i riflessi d’oro,
ha i riflessi pronti di un uomo fatto da solo,
solo cresce, solo vive e solo fugge verso il vuoto.
Ha imparato la vita grezza con gli isolani nei campi,
la stima e gentilezza dai loro occhi grandi,
la vibra della fierezza dai volo dei falchi
e la cifra della bellezza dai colori degli oleandri.
Ora vuole prendere il largo, superare l‘arcipelago,
gli basta una vecchia barca ed eccolo il suo Pegaso!
Claudio si china e dubita, bacia la sabbia umida
poi prende il largo con la quiete di chi aveva una scelta unica…
ma nella notte il mare si gonfiò, alzò le onde di colpo,
inghiottì Claudio in un solco blu, ne rese all’alba il corpo morto.
Il paese pianse la più grande delle disgrazie,
chi disse che fu un uragano che colpì le coste,
chi disse che Claudio cercava la morte,
qualcuno disse che fu l’isola che non voleva che se ne andasse;
ora là sulla spiaggia dove la sabbia subentra ai cardi
puoi sentire alla notte un pianto sommesso,
forse è il vento che muove i rami degli alberi,
c’è chi dice sia l’isola che piange il suo figlio prediletto.

Rit.

Sull'Atlantico

Una storia d’altri tempi, una storia di ‘sti tempi…
-Dammi un abbraccio,  due baci, qua ognuno fa quello che può..
Prendi coraggio e una sciarpa…..farà freddo a Nuova York…-
Gianni come molti partiva dal molo più a Sud,
la nonna gli parlava con gli occhi: - non ti rivedrò mai più…-.
Non era ancora un uomo ma aveva braccia e polpacci forti
e il sogno del nuovo mondo come altri compatrioti
che vedevano nell’America una vita senza fame e
bastavano due settimane per raggiungerne i porti
e lo videro sparire sulla strada cantoniera,
tra le vigne e i gelsi bianchi già sepolti dalla sera,
strappò col destro un cimo corto di olivo acerbo e
lo aveva ancora in tasca quando arrivò al porto di Palermo.
Guardò lo sterno in ferro della nave sulle acque,
nelle tasche un biglietto per l’inferno della terza classe.
-Un bacio a te mamma, la nave qua è già fra le onde,
tu che hai preferito piangermi nella distanza più che nella morte-.
Rit: e quanti anni sono? sono tanti anni fa. …
e quanto campa un uomo? non così tanto man..
non sono solo sai i porti degli altri, i corpi degli altri, i morti degli altri…
e quali anni sono? Questi anni qua…
e quanto vale un uomo? Quanti anni ha…
non sono solo sai i mondi degli altri, si scaldano al sole qui i volti  migranti
I migranti ora pregano, stipati nei loro giacigli,
sono i dannati sull’oceano come De Amicis,
due settimane di agonia fra i pianti dei figli,
qualcuno muore di malattia, volano in mare i corpi dei villici.
Lo scafo apre le acque come una forbice,
bagna di sale i molti volti esausti sul ponte,
dopo tutto il giorno passato a fissare l’orizzonte 
hanno le rughe degli occhi con la forma dei contorni della  coste.
Poi l’arrivo là all’alba e a Gianni  pare ormai fatta,
la massa canta quando la nave attracca a Manhattan,
attacca la pancia all'attracco e calma rovescia la calca 
che passa sotto lo sguardo di ogni guardia di Ellis Island.
Ma il sogno del luogo si incrina già sul nuovo molo  
 -Hei men! - Gianni è un uomo solo fra tanti e solo un uomo,
c’è un manifesto monocromo che parla di loro,
c’è scritto: -Zio Sam attento alla nuova orda dei ratti italiani sul suolo!-
Gianni lavora a ore, come scaricatore navale,
dorme testa-piedi con altri dieci in un monolocale,
quando si corica stanco, si gira di lato e scrive di fiato:
-cara madre non è questo il paese che avevo sognato..-.
Passa mesi nei porti, mette da parte dei soldi,
negli anni il “dago” diventa Gianni e Gianni diventa Johnny,
ora che ha i fondi in tasca scappa dai bassifondi
sposa un paesana, compra una casa nel Wisconsin;
ora ha una piccola ditta che taglia legname
ma 30 anni sono molti e pensare a casa lo fa stare male,
così solca l’oceano e ritorna alla patria Trinacria,
dove i fiori di bouganvillea sembrano farfalle di carta.
Gianni sulla spiaggia di casa, sotto il sole che scalpita,
guarda il mare che guarda la costa che guarda l’Africa
poi all’orizzonte scorge un barcone, è fitto di corpi e dolore,
Gianni rivede sé stesso: il migrante ha un solo colore, un solo nome.
Rit.


Storia di Laura

Liberamente ispirato al romanzo di Cesare Pavese “La luna e i falò”.

Rit: Fu cosi guardando lei, che il mare si arrestò
ora non sente, niente più niente, neanche le onde che fermò.
Il signor padre strinse il nodo della cravatta,
lustrò ogni placca d’oro di ogni medaglia sulla giacca,
sulla tasca bianca il noto logo della croce di Malta,
la divisa della marina gli garantiva un’aura sacra.
Laura bambina lo guardava, ammirava come una statua,
per lei il padre era l’unico dio, il suo super io,
dopo che la madre era morta quando lei era nata,
lei non aveva che lui, lui non aveva che lei, nessun’ altra.
Lui alto ammiraglio al capo di una grande fregata,
quando col palmo caldo le accarezzava la guancia
diceva: -Sapessi quanto la ho amata, sapessi…
aveva i tuoi occhi, le tua ciglia, le tua labbra vermiglie da fata-.
Nella vita del padre solo la figlia e la nave,
il resto valori da immolare alla morale militare, c’è che
in certi uomini di mare le frontiere si delineano e creano,
il suo cuore era un eremo, una scogliera a picco sull’oceano.
Rit: Fu cosi guardando lei che il mare si arrestò,
ora non sente, niente più niente, neanche le onde che fermò…
fu cosi guardando lei che il mare si arrestò,
ora non sente, niente più niente, niente più niente…
Ma Laura crebbe bella come una dea pagana,
portava vestiti di organza e fiandra, profumava di mandorla amara,
suo padre la voleva al meglio, specchio su terre e mari,
l’unica figlia, suo riflesso perfetto inarrivabile ai mortali,
perciò chiunque fosse che osasse corteggiarla
veniva smarrito a due mani come le mosche nell’aria,
per lei nessuno era all’altezza di suo padre
e per suo padre nessuno era all’altezza della sua Laura.
Ma un giorno di brina, nel clima di una prima mattina,
Laura si presentò al braccio di un adone in divisa della marina,
un ufficiale con occhi d’acqua che promise amore,
aveva il bel fare e l’eleganza delle uose nuove.
Laura gli disse di sì, sognava una nuova vita,
quando il padre glielo impedì al mattino era già sparita,
dopo un mese tornò sconfitta, negli occhi una scritta:
per quanto bello l’amore di quello era tutto una finta.
Torno più morta che viva a testa china alla stessa vita,
non aveva più lo sguardo d’incanto di Laura bambina,
passata da una vita da bimba a una vita da vinta,
nessuno capì come sarebbe finita ma tutti capirono che era incinta.
Il padre non volle sentire ragione -Ora trova tu un padre al bastardo!
Lo crescerai sola in casa lontana da ogni sguardo!
Sarà il frutto amaro del disonore, la malaerba in casa e tu:
la bandiera a mezz’asta di un cargo al largo!-.
Lo udirono spaccare ogni specchio, parlare del male,
l’uomo era vecchio: non sapeva dominarsi né comandare;
lo videro incamminarsi e rinnegare il mare,
malediva sé stesso, la figlia, invocava di nome della madre.
La ragazza non disse nulla, fuggì verso l’imbrunire,
tornò dopo un giorno con il mondo stravolto nell’iride,
era andata da una mezzana, una mezza levatrice,
Laura si era fatta ripulire così come si suole dire.
Lei non disse niente e nessuno fece domande,
camminava lenta, guardava distante le speranze,
stava in piedi poco tempo poi a stento sulle gambe
e poi si mise a letto e lo riempì nel mezzo di sangue.
Il padre si chiuse in un silenzio d’onore, niente parole
e lei chiusa non volle parlare neppure al dottore,
aprì la bocca solo verso le ultime ore del sole,
quando morì chiamava solo:-  ..papà, papà..-  a bassa voce.

Rit.

L'uomo che viaggiò nel tempo

Murubutu: Guardando le dita muoversi compose nuovi codici,
il moto degli occhi riflesso nel vetro spesso dei cronografi,
gli ultimi ritocchi alla capsula di vetro dentro,
la sua macchina del tempo:  la nuova scienza degli studi storici.
L’avvio delle turbine alzò una nube di fogli sparsi e libri,
generò un tunnel di vortici, effigi di antichi miti,
lui deriso dalla accademie, dal loro viavài di dottorastri,
ora divelleva le teorie sul tempo di Einstein e tanti altri,
dopo le teorie sulle cronosfere, stringhe e quanti,
dimensioni parallele, buchi neri e ingerenze di altri campi,
la sua teoria andava oltre ogni corpo, ogni wormhole,
quelle che per altri erano congetture, teorie pattume o solo calcoli.
Sul contatore di ere ed ore apparvero le 9.00 del 4 Gennaio,
il primo viaggio sul vettore in quarzo, rame e acciaio,
scomparve in un attimo e poi fermo con il cuore in mano,
quello che vide sfidò ogni limes plausibile all’intelletto umano
Il tenente:  Giudicato come ciarlatano, visionario, mago,
umiliato dai  più, dequalificato del suo status di scienziato,
 lo aveva urlato chiaro davanti ai dotti senza paura:
avrebbe portato ai loro occhi prove forti di una civiltà futura.
Ore insonni avevano portato consigli nella notte buia,
aveva riempito plichi, sviluppato una nuova curvatura,
un nuovo modo per guardare al tempo come somma diretta:
saetta sull’onda, colonna non più retta.
Come procedura azionò l’elica, la mente affetta dall’idea perfetta,
pronta a spostarsi sull’onda elettromagnetica,
ne aveva saldato ogni componente con perizia ascetica
e individuato il propellente in un reagente di acqua fredda.
Viaggiava col tempo nel pugno sfidava l’oblio,
verso 31° secolo senza il permesso di Dio,
un rumore acuto riempì gli spazi in fila dopo l’avvio,
in tre istanti sparì dall’anno 2000 come in un balenio.
Rit.: prese il volo, vide il vuoto, l’uomo solo sfida Cronos
qual è il modo? qual è il nodo? tu pensa ancora, tu pensa ancora…
prese il volo, vide il vuoto, l’uomo solo sfida Cronos,
qual è il modo? qual è il logos? tu pensa ancora, tu pensa ancora…
Muraca: Quando l’orizzonte si fece nitido aprì gli occhi incredulo:
la pressione dell’acqua degli abissi premeva sopra il vetro tremulo.
Ora se tutto il processo aveva avuto un seguito era passato un secolo
ma quello che vide fu un mondo sommerso in uno scenario epico:
resti di strade, case, chiese, ruderi di grattacieli
sommersi dalle acque, sventrati, attraversati da branchi di pesci,
montagne o colline trasformate in dorsali sottomarine,
cimiteri di ossa umane incastrate nelle barriere coralline.
Nessuna traccia umana sulla piana dei grandi continenti subacquei,
solo ombre di squali bianchi, calamari, lotte fra granchi giganti,
nel buio luce poca, solo ombre fra i tanti esseri acquatici,
solo qualche luce fioca proveniva dalla bocca di certi cetacei.
Solo allora puntando i fari capì che avvenne a terre e mari:
i secondi s’erano ingoiati le prime come nell’Olocene,
dopo lo scioglimento dei vari ghiacci polari,
gli uomini sopravvissuti si erano adattati a vivere dentro alle balene.
U.G.O.: Avevano squame e scaglie sparse sulla superficie del corpo,
alcuni avevano arti come chele, altri tentacoli simili al polpo,
denti come rasoi, irti d’aculei, carapaci impenetrabili,
alcuni mutavano colore, altri emettevano lampi ed archi voltaici.
Sottomessi i mansueti cetacei, muovevano guerra ai vicini,
nuotavano in ranghi stretti, branchi immensi negli abissi infiniti,
uno di questi allora lo vide e scoccò un dardo in corallo che
viaggiò rapido conficcandosi nel quarzo dello scafo incrinandolo.
’acqua inondò l’abitacolo, il braccio spinse la leva inclinandola al massimo,
in un lampo si ritrovò sano e salvo nel suo laboratorio sotterraneo.
Si presentò al cospetto degli scettici completamente fradicio,
mostrando a riprova del viaggio lo strano strale in materiale organico,
osservarono increduli il manufatto, il volto sconvolto dello scienziato pazzo,
il corpo madido, lo sguardo torbido come in seguito ad un attacco di panico.
Esausto, a chi chiese come fosse il futuro, rispose solenne:
-Il futuro non è per niente diverso dal nostro presente!-
Rit.


Le sirene

Chi mi chiama? Sa il mio nome? Chi mi vuole ? Dove, dove?
Suona una voce nell’afa della mattina, bagnata d’aria marina,
esalata dalla battigia, sbarcata da spume d’ombre che infondono nuove forme,
confondono fonti d’onde con torri d’aria salina  ……
La voce viaggia e si infila dentro a una stanza, che guarda dritta la spiaggia,
poi sfiora una stufa in ghisa, riaffiora sempre più alta e danzando con calma salda
lì incalza la faccia stanca del buon Carlo Caravita…
Il signor Carlo pertanto si leva in slancio, lui osserva il soffitto bianco poi il quadro di S.Rita,
sua moglie l’ha presa il mare, è partita senza tornare,
lasciandolo a cuore infranto ed il corpo che fa fatica.
Di lei amava la gioia e i particolari, il taglio degli occhi chiari, i tacchi e vestiti uguali,
quando ballava il tango muovendo lenta la testa
o cantando dalla finestra dove ardevano i  gerani
e lei amava:  viaggiare e  avvistare terra, il nome suo Annarella, scritto su alcuni scafi
e il sorriso lieve lieve invadeva le gote accese, salendo la passerella che portava sulle navi.
Se la guardava si smarriva in lei, bevendo gli suoi occhi suoi, chiamandoli occhi miei …
lui vuole scoprire dove, la foce di quelle note, che sembrano di Annarella, la voce della sua bella.
Rincorre il suono sul filo delle pareti, i doppi vetri, i pavimenti e la voce gli dice: -Seguimi!-
e Carlo la segue fuori, là fuori brillan le siepi, ne segue tracce fra macchie di lecci, lauri e ginepri.
Il nostro la segue a piedi tra piazze, case e pievi, strade fatte di piedi, reti appese ai vigneti, tra i
terreni, i  fieni scelti, i sentieri scoscesi ai piedi che portano a un mare fatto di linee bianche e
turchesi. Carlo di fronte al mare, sul greto di sabbia e ghiaia, la luna di madreperla gli lancia
un’occhiata ignara, là vede una barca ferma che porta una forma snella, è la forma di Annarella
segnata dalla rugiada. Carlo sorride ai flutti, la fronte sugli occhi asciutti, le stringe la mano forte
pronto per la traversata, all’alba Carlo non c’era,
nessuno lì se ne accorse, il vento muoveva i giunchi e i loro fiori color giada…
Rit.- … Amore mio tu non sei qui con me, ti non sei più con me, tu non sei qui con me…
Un bagliore...dove, dove?.. La tua voce…dove, dove?.. Suona altrove… dove è?
C’è  una voce…dove, dove?... La tua voce…dove, dove? …Suona altrove…dove è?-

Claver Gold: -Sentivo il mare gridare forte il mio nome,
nel nome di un altro amore, nel fuoco di un'altra unione,
nel gioco di spuma e sale scappare da una prigione,
sentirmi ancora chiamare voltarmi per poter dire no.
Ma poi la noia la stasi, la nostra unione che quasi
si era tagliata in due parti quindi divisa in due fasi,
io avrei dovuto chiamarti davanti un bianco di Piasi
per dirti quanto mi manchi, ma poi l'ho fatto? No.
Amavo il sangue che porta inchiostro alla penna
in questo mattino nostro d'Agosto volo su Vienna,
l'aria che mi scotenna, la bocca che tentenna,
dove muore la voce alla foce della Senna.
Io, vestito male di stracci presi al mercato,
i lacci toccato il suolo, il volo era terminato,
il peggio l'ho meritato, in forma ma raffreddato,
il nome tuo l'ho gridato e l'eco mi rispondeva:  -si, si, si, si-.
La brezza marina, accarezza la mia pelle, espelle la sua tossina,
cara portami in cima, strappami dalla riva,
ora trovo la pace nella benzodiazepina.
Clima del litorale dove la sabbia danza
al vento di Maestrale che soffia con eleganza,
ora tolgo le scarpe ed accorcio la distanza,
come Giorgio de Chirico ho Ulisse in una stanza.
Ho quello che manca per avere ciò che serve,
rosso d'arcobaleno, veleno di un'alta serpe,
usalo come china nel nostro amore di epistole
…..battiti e metriche in  extrasistole.
Vedo l'amore che passa e l'amore che viene,
sento chiamare il mio nome da dodicimila diverse sirene
poi metto un piede nel mare e quell'acqua di sale mi gela le vene,
corro il più forte possibile e canto un richiamo come le balene.
Lei che mi stringe la mano, vuole portarmi lontano,
l'acqua è già sopra il mio cranio non ho saputo schivare il richiamo,
ora ho le gambe stanche, avrei bisogno di branchie,
non basterebbero neanche per dirti quanto ti amo.
Ora il mio corpo viola è di nuovo a riva senza parola,
sento posarsi i gabbiani sulle mie mani, la fine è ora,
steso sul bagnasciuga, la pelle nuda, la sabbia sfiora,
fine di questa storia ed è la stessa colonna sonora-.
Rit.